lunedì 16 maggio 2011

w Eraclito, ʍ Parmenide

Stavo scrivendo un post sul diritto a essere giovani e scemi e a sporcarsi le mani con la vita, poi però ho trovato una vecchia mail e ho cambiato idea.

Il passato è una cosa stranissima.
O meglio: quello che mi ha sempre stupito e affascinato non è il passato in sé, che poverino sta lì e non fa male a nessuno (tranne casi particolari, sì, ma anche lì la responsabilità non è tanto sua quanto di chi guarda – il passato è solo passato, tutto il resto è interpretazione), ma la percezione soggettiva del tempo. Quella cosa per cui quando stai bene bene i giorni ti scorrono tra le dita come un nastro di raso, e poi a volte ripensi a certe situazioni e ti sembra che appartengano a una dimensione parallela in cui il cielo è color lavanda e le parole hanno un suono diverso.
E il passato è quello che ci permette di vederla, questa percezione soggettiva. Perché il futuro, si sa, non esiste e il presente siamo troppo impegnati a viverlo, ci manca quella distanza minima che rende possibile lo sguardo (uno sguardo).
Sarà una cosa stupida, ma a me questo fatto del tempo che cambia e ci cambia – anzi forse no, ma cambia le situazioni, il mondo in cui siamo e quindi indirettamente anche le modalità del nostro essere-in – insomma questa sensazione di fluidità universale, lo scorrere e il mutamento e tutto quello di cui ci accorgiamo solo quando ci passa l'ubriacatura del vivere, cioè quando ora non è più ora ma ieri, l'altro mese, tre anni fa. Ecco, io di tutto questo continuo a stupirmi e non riesco mai davvero ad abituarmici.

Grazie al cielo.

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