martedì 7 giugno 2011

{fratello mare}

Oggi sono andata a cercare il mare e ci ho fatto pace. Anche se oggi non sembrava proprio giornata, con quel cielo grigionero e il vento rabbioso e le minacce di pioggia. Eppure.
Io e il mare siamo come due fratelli che litigano sempre e a volte si prendono a pugni. Quando finiamo di fare a botte dobbiamo ammettere – col sangue sul labbro e una ritrosia tutta maschile – che in fondo però ci vogliamo bene. A modo nostro, ma ci vogliamo bene. Un po’ come uomini d’altri tempi.
Sono andata a cercare il mare. Senza rendermi nemmeno conto, e proprio oggi che la giornata sembrerebbe così inadatta agli incontri, soprattutto di questo tipo. E invece.
Come fratelli, appunto: somiglianti. Forse abbiamo potuto ritrovarci proprio per questo, come se avessimo una sorta di marchio sul dorso della mano, una cicatrice piccola che parla di giuramenti solenni tra ragazzini (ché infatti erano tanti anni che non ci vedevamo – che non ci vedevamo davvero, intendo). Ho trovato un mare torbido, malinconico e svogliato, un po’ incazzato senza sapere bene con chi, con se stesso o forse con il cielo (ché tanto non cambia granché). Ci siamo guardati, un po’ di sottecchi ma a lungo, abbiamo gli occhi diversi ma lo stesso naso e un modo simile di corrugare la fronte.
C’era una cosa nera che galleggiava e probabilmente non era nulla ma io ho deciso di credere che fosse una scarpa, però una scarpa che era solo una cosa nera, che non c’entrava niente con gli umani e per questo potevo guardarla e basta, senza pensare a niente.
Sono contenta di aver fatto pace con il mare, perché è uno di quegli amici con cui puoi stare in silenzio a fissare una cosa nera che galleggia e pensare a un accidenti di nulla, ché non serve dire niente e l’importante è essere lì, anche se c’è un vento che tira via e tra poco forse piove. Stare seduti lì lo stesso, zitti, fianco a fianco sullo scoglio, e basta.

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